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In principio era il gallo
Oppure in principio era l’uovo. Uno delle due comunque, anche se a logica da un uovo può pure nascere un gallo mentre un gallo, per quanto possa impegnarsi, difficilmente produrrà un uovo.
Certo che, a guardare il logo del Birrificio Rurale, uno potrebbe perderci un sacco di tempo tentando di decifrare che cosa diavolo significa un gallo con un uovo all’interno. L’unica altra opera sulla quale ci si è interrogati così a lungo riguarda l’enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo.
Traetene le debite conseguenze.
L’inizio
Tutte le cose, anche quelle più misteriose, hanno comunque una spiegazione razionale. Per comprendere il “mistero” del gallo si deve tuttavia fare un passo indietro. E cominciare questa storia con cinque personaggi in cerca di una birra d’autore. Se ci trovate un vago riferimento a una lettura scolastica meglio, altrimenti è lo stesso.
Dunque i cinque rispondevano, e fortunatamente rispondono tutt’ora, al nome di Lorenzo Guarino, Silvio Coppelli, Beppe Serafini, Marco Caccia e Stefano Carnelli.
Ai tempi in cui la birra artigianale non godeva ancora del “sacro furore” attuale i cinque bazzicavano con regolarità il Birrificio Italiano di Lurago Marinone e le “lezioni” di mastro Agostino Arioli, uno dei pionieri della birra non pastorizzata. Bere ettolitri di Tipopils e “vedere la luce” furono la stessa cosa, “diffonderne il verbo” la naturale conseguenza.
Da bravi discepoli l’idea di trascorrere infiniti weekend e serate a trafficare con pentole e annessi non li spaventava, l’idea di collezionare brutte figure nei primi concorsi nemmeno, mettere a repentaglio la serenità familiare per una blanche o per una pils non li sfiorava e con l’incoscienza tipica degli innamorati o dei folli si lanciarono nell’impresa.
Ed è più o meno a questo punto che il loro sguardo ardente di fermentazioni incrociò quello del gallo…
Rurali per sempre
A Dicembre del 2012 si accende per l’ultima volta “il fuoco” nella Cascina Calderari, a marzo 2013 si inaugura con una prima produzione il nuovo impianto di Desio.
Nessun trasloco d’impianto. Quello di Cascine Calderari è il passato, quello di Desio è il presente e un pezzo di futuro. I vantaggi della nuova collocazione sono molteplici: in primo luogo tutta la produzione si svolge su un unico piano, e per chi ha lavorato quotidianamente e per anni salendo e scendendo le scale la cosa assume i contorni luminosi di una benedizione, poi gli spazi sono più ampi, ci si muove meglio, la logistica ne beneficia immediatamente. La razionalità, in un’azienda di produzione, funge da spina dorsale per tutto il resto: l’ispirazione, la creatività, il cuore.
Il nuovo impianto di Desio ha una capacità nominale di venti ettolitri ma è soprattutto la cantina a “respirare” con capacità adeguate ai giusti tempi di maturazione di ogni singola birra. I volumi, ovviamente, sono ben diversi di quelli registrati nel 2011: il 2017 si chiude a quota quattromila ettolitri e le potenzialità del nuovo impianto permettono di sognare il raddoppio.
Allo stesso tempo le birre del Rurale hanno anche iniziato a viaggiare all’estero: Stati Uniti, Olanda, Inghilterra, Svizzera, Danimarca, Hong Kong. Non si tratta di grandi volumi, perché si vuole crescere ancora in Italia, ma si cerca pure di accontentare le richieste che arrivano da fuori. Desio offre notevoli possibilità e insieme ai volumi aumentano pure le birre.
La decisione è quella di perseverare sulle classiche e consolidate che hanno fatto la prime fortune del birrificio, mantenendole sempre all’altezza delle aspettative, e poi lasciar galoppare la fantasia e la voglia di sperimentare in novità che si succedono a ritmo costante. Novità che tengono vivo il “sacro furore” di chi le birre le beve, ma soprattutto di chi le birre le crea.
Del silo e di altre storie
Cascine Calderari nel giugno del 2009 conobbe una inaspettata esplosione demografica. La località, frazione del comune di Certosa di Pavia, si ritrovò d’un colpo a passare dai consueti 735 abitanti a 740. I cinque “migranti” non clandestini erano ovviamente chi potete aver già immaginato che fossero.
Si trattava di una migrazione pendolare ma motivata dal fatto che a Cascine Calderari i nostri avevano trovato la sede adatta a collocare un impianto di produzione dalle dimensioni contenute e tuttavia professionale. In un posto chiamato Cascine la sede del birrificio non poteva che essere una cascina. Completa di portico, cortile, animali di fattoria come capre, galline, tacchini, il “gallo del destino” e di un silo in cemento un tempo adibito, come in tutte le cascine del pianeta, a contenere cereali o granaglie.
Ma fu proprio il silo invece a trasformarsi in una specie di incubatrice del neonato Birrificio Rurale.
Una incubatrice verticale a tre piani con la sala cotte in mezzo a quella dedicata al mulino e a quella, a pianterreno, riservata a maturazione e cantina. Niente ascensore ma buone gambe, entusiasmo e molta dedizione.
I primi sei mesi significarono circa ottanta ettolitri di birra prodotta. A colpi di cotte da 700 litri ciascuna. Ma, più dei numeri, erano le birre a decidere se il gallo portava bene oppure no. Seta, Terzo Miglio, Milady, Castigamatt, Blackout, Oasi. A febbraio 2010 la Terzo Miglio ottiene la medaglia d’oro nella sua categoria a Birra dell’Anno, il contest riservato alle birre artigianali più importante in Italia, l’anno dopo è d’oro la Castigamatt.
I premi fanno conoscere il Birrificio Rurale al di fuori della provincia pavese e al di là della Lombardia. Di conseguenza salgono gli ettolitri, 450 nel 2010, 840 nel 2011 ma aumenta pure la fatica di produrre in un luogo decisamente romantico, probabilmente bucolico, certamente rurale ma, indiscutibilmente, scomodo.
Si deve migrare di nuovo, in una struttura che permetta di crescere e di lavorare in modo più razionale. Lo chiede Guarino, che ormai si occupa a tempo pieno del birrificio, e sono d’accordo tutti incluso Luca Franceschi, che si è aggregato al quintetto base da poco.
È d’accordo pure il gallo della cascina. Che concede il diritto d’immagine, evita di fare domande sull’uovo disegnato nella sua pancia e si defila.
la taproom
Il 2017 è anche l’anno della taproom, lo spazio ricavato nel birrificio che apre i battenti solo il sabato (dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30) per chi le birre del Rurale le vuole comprare direttamente in loco o semplicemente ha voglia di passare per un saluto e una pinta.
Nel 2018 in birrificio appare infine una macchina per confezionare la birra in lattina. È un pezzo di futuro del Birrificio Rurale. Che non dimentica dove è iniziato tutto ma ha sempre voglia di vivere in divenire.
È il gallo. Ed è l’uovo.
Grazie a Maurizio Maestrelli per i testi.